Non poteva avere
migliore inaugurazione, l’edizione 2018 del Bif&st, con un ‘tutto esaurito’
e posti in piedi al Teatro Petruzzelli per accogliere il primo dei protagonisti
delle Masterclass che si confermano come uno degli appuntamenti più attesi e seguiti
della manifestazione diretta da Felice Laudadio. Una standing ovation ha quindi
accolto l’arrivo sul palco di Pierfrancesco Favino, a testimonianza
di una popolarità che va oltre l’ammirazione per il suo talento di attore ma
segno di affetto e stima per l’uomo che ha mantenuto semplicità e sincerità
nonostante la statura acquisita di star internazionale. Semplice e sincero lo è
stato per tutta la durata dell’incontro condotto dal critico Fabio Ferzetti,
preceduta dalla proiezione di “A.C.A.B.” di Stefano Sollima, tra i film più
rappresentativi di una carriera che conta ben 76 titoli in 25 anni tra cinema,
teatro e televisione, senza mai restare prigioniero di nessun cliché. La
varietà dei suoi personaggi e dei film interpretati è alla base delle sue
scelte fin dall’inizio, come ha spiegato rispondendo alla prima delle domande
che gli ha rivolto Ferzetti: “Ho sempre pensato che il mestiere dell’attore
fosse proprio questo, modellarsi rispetto a quello che si fa. Avere una faccia
‘facciosa’, d’altra parte, mi ha consentito di fare cose tanto diverse l’una
dall’altra, come pure la consapevolezza di avere il privilegio di scoprire
quante cose può essere un individuo nella sua complessità. Faccio l’attore
fondamentalmente perché mi piace l’essere umano. Affrontare gli opposti è un
altro privilegio pazzesco che mi ha offerto e continua a offrirmi questo
mestiere, come quando nel giro di pochissimi mesi mi sono trovato a
interpretare il poliziotto fascista di “A.C.A.B.” e l’anarchico Pinelli in
“Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana”. Una passione, quella per la
recitazione, che accompagna Favino fin dall’infanzia: “Ho deciso che avrei
recitato fin da quando avevo 6 o 7 anni, passavo le ore davanti alla Tv a
guardare i vecchi film di Totò. La chiave di volta fu poi a 8 anni quando i miei
genitori, entrambi appassionati di teatro, mi portarono a vedere Don
Carlos di Schiller con Gabriele Lavia, fu una vera folgorazione. Dopo
il Liceo, quindi, ho fatto domanda all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica e
per fortuna mi hanno preso, altrimenti non so cosa sarebbe stato di me a 30
anni”.
Noto per la meticolosità con cui prepara i suoi personaggi, Favino ha
raccontato come ha affrontato il personaggio di “A.C.A.B.”: “Ho trascorso del
tempo insieme a veri celerini, sono stato allo stadio a osservarli mentre
lavoravano, ho preso dimestichezza con scudi e manganelli per poi scoprire che
anch’io potrei usarli se dovessi essere aggredito. Mi era già capitato in un
altro film, quando mi sono trovato con una pistola tra le mani. Ecco un altro
aspetto positivo del mio lavoro: ti dà la possibilità di sollecitare i tuoi
istinti e prendere consapevolezza dei rischi che questo comporta. E poi ho
frequentato a lungo un vero celerino di destra per poi scoprire che a casa,
insieme al busto del Duce, aveva il manifesto di Che Guevara. Questo per dire
che l’essere umano non è mai una cosa sola. È anche per questo che ho accettato
l’avventura del Festival di Sanremo”.
Sanremo: impossibile non citare un’esperienza che ha cambiato la percezione
del pubblico nei confronti dell’attore romano, rivelandone la poliedricità
oltre che la versatilità nel cinema. “Era esattamente quello che volevo, avrei
dovuto fare già prima qualcosa del genere, superando la paura di ciò che il
pubblico avrebbe pensato di me. Ma mi sono ricordato di come Gassman non avesse
avuto timore di esibirsi a Canzonissima, di Mastroianni che ululava accanto a
Mina, di Tognazzi che raccontava barzellette. Ora sono consapevole di essere
diventato nazional-popolare ma è una cosa bella. Purché lo si faccia bene.”
A
proposito di eclettismo, un altro notevole talento che Favino ha talvolta
manifestato è quello di imitatore. Così, per il divertimento del pubblico del
Petruzzelli, si è prodotto in un’irresistibile imitazione di Marco Giallini e
poi di Rocco Papaleo, insieme al quale sta per affrontare il prossimo impegno,
“I moschettieri del Re” di Giovanni Veronesi - nel cast anche Valerio
Mastandrea e Sergio Rubini - atteso sugli schermi per Natale. Subito dopo
l’attore sarà Tommaso Buscetta nel film di Marco Bellocchio “Il traditore”:
“Non vedo l’ora, ho inseguito questo ruolo per tanto tempo, mi ci sto
preparando fin da quando stavo girando ‘A casa tutti bene’ con Gabriele
Muccino. Sono affascinato dall’idea di interpretare un uomo che è diventato
celebre senza essere nessuno e che ha vissuto cambiando faccia più volte”.
Ma quando sente veramente un personaggio, Pierfrancesco
Favino? “Quando mi parla, quando ho capito come pensa. È così che riesco a far
sì che l’attore non scavalchi il personaggio, non imponga al pubblico la
propria personalità e superiorità. L’attore non deve mai dimostrare quanto è
bravo. Non deve essere uno strumento ma un oggetto”.
L’amore per il suo mestiere ha portato Favino ad accettare la direzione di
una scuola di formazione a Firenze. “Ho deciso di dirigere l’Oltrarno di
Firenze a condizione che la scuola fosse gratuita, per favorire chi non avrebbe
potuto permettersela e poi ho voluto che gli insegnanti provenissero da tutto
il mondo, perché gli allievi potessero apprendere delle tecniche che qui non
vengono insegnate. Lavorando più volte nel cinema americano ho infatti scoperto
che, benché il talento di chi lo fa non sia inferiore a quello degli artisti
italiani, oltreoceano ci sia molta più attenzione alla formazione e alla ricerca”.
Prima di intrattenersi a lungo con gli spettatori per gli autografi e
gli immancabili selfie, Pierfrancesco Favino ha incassato i
complimenti di un illustre spettatore dell’incontro: Pippo Baudo. “Sono venuto
qui ad ascoltarti”, ha detto il popolare conduttore che sarà protagonista della
Masterclass di domani, “perché sei bravo, colto e intelligente. Ti auguro ogni
fortuna”!
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