Alessandro Piperno, il grande autore italiano, Premio Strega 2012, e la
giornalista Annalena Benini conducono il pubblico del Piccolo Eliseo in Roma (Via Nazionale 183, ingresso libero), per cinque lunedì di seguito dal
13 novembre all’11 dicembre, attraverso i segreti della letteratura e con
un’analisi di alcuni dei maggiori maestri della scrittura che diventano esempio
di scuola.
13 novembre - Elogio del libero lettore: i libri di cui non
possiamo fare a meno.
Se
lo scrittore è minacciato da un mucchio di remore e divieti, il lettore ha solo
diritti. Può aprire qualsiasi libro e se proprio non gli va a genio, chiuderlo
al secondo capoverso e volgersi altrove. Ecco perché lo abbiamo chiamato il
libero lettore. Si lascia guidare dal capriccio, dalla sete e dalla necessità.
Il libero lettore è un dilettante, e come tale aspira al diletto. È il tipo che
immergendosi in un’opera di narrativa non sta lì a interrogarsi sullo spazio
che essa occupa nella storia letteraria; né si chiede se sia realista,
vittoriana, modernista, tradizionale, sperimentale, di genere. Il libero
lettore tralascia i proclami estetici dell’autore, le dotte postfazioni e i
peana del risvolto di copertina. Cerca atmosfere, personaggi, buone storie,
mica qualcuno che gli spieghi perché cercarle è un obbligo morale. La sola
classificazione che lo interessa è quella che separa i romanzi che producono
endorfina da quelli che fanno venire l’emicrania, i pochi che cambiano la vita
dai troppi che non cambiano niente, se non talvolta l’umore.
20 novembre - Incipit, la bellezza di cominciare.
Un autore non
dovrebbe considerare se stesso come un gentiluomo che offra un pranzo in
privato o per beneficenza, ma come il padrone di una taverna nella quale tutti
sono i benvenuti in quanto ospiti paganti. È il celebre incipit del Tom
Jones di Fielding. Il suo genio audace e spiritoso lo porta a immaginare un
romanzo come una locanda in cui gli avventori possono scegliere le pietanze più
adatte al loro palato capriccioso. A noi, invece, piace immaginare i romanzi
come un ricevimento elegante con un bel buffet. Scrivere un romanzo è come
organizzare una festa: la cosa difficile è creare l’atmosfera. Nell’Ottocento i
romanzieri erano molto attenti a mettere a suo agio il lettore: poltrone
comode, cibo squisito, musica di sottofondo. In seguito una naturale evoluzione
dei costumi avrebbe spinto i narratori a un’ospitalità meno convenzionale e più
pirotecnica, ma questa è un’altra storia. Resta il fatto che un romanzo amato
ti lascia nel cuore lo stesso sentimento di benessere di una festa riuscita:
dopo qualche tempo tendi a dimenticare pressappoco tutto, se non il clima fatto
di profumi, variazioni, colori. Indugiando sulla metafora gastronomica si può
dire che gli incipit siano una specie di mise en bouche, lo stuzzichino con cui veniamo
accolti nei ricevimenti eleganti. Biglietto da visita dello chef, serve a
sedurci, ma non troppo, a stimolare le papille senza esagerare, a dare un primo
piccolo saggio del viaggio che siamo pronti a intraprendere. Sbagliare lamise en bouche può essere
fatale. Così come sbagliare un incipit. Non tutti gli incipit sono
uguali. Ci sono gli incipit sapienziali, gli incipit cinematografici, gli incipit
icastici, gli incipit confidenziali, gli incipit pirotecnici e tanti altri
ancora.
27 novembre - Vocazione: Stendhal contro Flaubert.
Mio caro amico,
mi sembrate piuttosto amareggiato, e il vostro sconforto mi rattrista, perché
potreste impiegare più gradevolmente il vostro tempo. Dovete, capite,
giovanotto, dovete lavorare di più. Comincio a sospettarvi di essere un po’
fannullone. Troppe puttane! Troppo canottaggio! Troppo esercizio! Sissignore!
L’uomo civilizzato non ha tanto bisogno di locomozione quanto lo pretendono lor
signori i medici. Siete nato per fare dei versi, fatene! Tutto il resto è vano,
a cominciare dai vostri piaceri e dalla vostra salute: ficcatevelo nella
capoccia. Flaubert scrisse questa lettera a Guy de Maupassant il
15 agosto 1878, due anni prima di morire, avendo puntato tutto sulla
letteratura, in odio alla vita. La vocazione però è anche quella di Stendahl,
che ama la bellezza e scrive con lo stesso piglio con cui conversa: per
intrattenere se stesso, gli amici e le donne che gli piacciono, e il giorno che
non gli va di scrivere si mette a dettare. Ma allora, di che cosa è fatta la
vita di un grande scrittore? Chiudersi in una cella, come fece Balzac a
vent’anni, sedere allo scrittoio per conquistare il mondo: dimenticare Parigi,
gli amici, la signora de Berny, e vivere con un’intensità da monomane. Il
“brivido lungo la schiena”, che Nabokov ha cercato sempre, gli ha trasformato
l’esistenza in un miscuglio di avvilimento ed esaltazione, una tortura e uno
svago, duecento buone pagine l’anno, e la beatitudine di una frase, la
commozione di un personaggio. La
mia vita è la lotta fra l’impetuoso desiderio di scrivere e una serie di
circostanze atte a impedirmelo, ha detto Fitzgerald dopo aver conosciuto Zelda. Indagine
letteraria e mondana sulla lotta fra il desiderio e la volontà.
4 dicembre - Innamorarsi: le donne, il sesso e l’esaltante
dolore dell’amore.
L’entrata
in scena trionfale di Anna Karenina, con il piglio leggero di un film di Nora
Ephron ma con quell’aura profetica che la rende drammatica: quanto ammiriamo,
anzi amiamo la sfolgorante Anna, quanto vorremmo dirle di non alzare i suoi
meravigliosi occhi grigi su Vronskij, e invece da molte pagine aspettiamo
proprio quell’incontro, quell’esplosione di vitalità e di tragedia, e
trepidiamo anche per lui che scende dal treno evitando di guardarla a lungo,
come si fa con il sole. Tutti amano Anna Karenina, il mondo invece si divide
fra chi disprezza e chi adora Emma Bovary, così volubile, carnale, frivola. La
sua fine tragica verrà vendicata, molti anni dopo, da Daisy di Il grande
Gatsby, la ragazza con la voce piena di soldi, la luce verde oltre la baia,
vestita di bianco, che salta da una festa all’altra, da una decapottabile
all’altra, e non andrà nemmeno al funerale di Gatsby. Con lei, dentro la
malinconia struggente, Micòl Finzi Contini, in tenuta da tennis, così
affascinante perché senza speranze, e quella scala a pioli appoggiata al muro
del giardino che fa impazzire il protagonista del romanzo di Bassani. Donne
vive, commoventi, ambigue, irrimediabilmente
corrotte dalle moderne scuole miste, come Lolita di Nabokov. A loro i nostri amati scrittori
hanno regalato il meglio, e soprattutto, che godimento, il peggio di sé.
11 dicembre - Scolpire il tempo: Proust e gli altri.
Si
scrivono e si leggono romanzi per ingannare il tempo. Ma mica nel senso corrivo
solitamente attribuito all’espressione. Anche se nessuno potrà negare che un
ferragosto solitario voli via più lieve in compagnia di un romanzo, non è
questo l’inganno che ci interessa. Bensì quello perpetrato a danno di noi
comuni mortali dal tempo, al quale, da che mondo è mondo, opponiamo i non meno
mendaci strumenti dell’arte e del racconto. I nemici in agguato, quelli da
esorcizzare, sono sempre gli stessi: il tedio, l’oblio, la scomparsa
ineluttabile di ciò che amiamo. La scoperta vertiginosa dello scrittore alle
prime armi è la straordinaria flessibilità del tempo, la sua natura volubile e
illusoria. Stendhal lavorò un paio di mesi su un libro che copre l’intera vita
di un personaggio, Joyce ci mise anni a scrivere di un solo giorno, Broch ancor
più per raccontare una notte. Del resto, anche al lettore piace crogiolarsi
nelle poetiche ellissi che scandiscono le stagioni nei romanzi ottocenteschi:
“Arrivò la primavera”, “Giunsero le prime piogge”, “Il Natale passò lieve,
allegro e innevato come certi sogni dell’infanzia”. Per capirlo basta
rivolgersi a Proust. Nessuno prima e dopo di lui ha saputo creare una sinfonia
del tempo altrettanto amara e struggente.