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A cura di ANDREA CURTI

mercoledì 11 marzo 2015

TEATRO - Alla Sala Orfeo dell'Orologio di Roma, da domani in prima nazionale: "Tutti i padri vogliono far morire i loro figli", incontro-scontro sullo sfondo del '68.

La Sala Orfeo del Teatro dell’Orologio di Roma (Via dei Filippini 17/A ) ospita il debutto in prima nazionale dello spettacolo Tutti i padri vogliono far morire i loro figli, della compagnia CK Teatro, testo di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi, che ne cura anche la regia, liberamente ispirato ad Affabulazione di Pier Paolo Pasolini. In scena, da domani 12 marzo sino al 3 aprile prossimi, Irma Ciaramella, Anna Favella, Chiara Mancuso, Luca Mannocci e Mauro Santopietro (prezzo intero € 15,00 – ridotto € 12,00, tel. 06 6875550, mail biglietteria@teatroorologio.com).
Lo spettacolo narra le vicende di una famiglia, e dell'incontro-scontro di un padre con suo figlio. L'ambientazione è l'epoca moderna, ma una modernità che si pone come lettura di un presente che poggia le sue basi su nuovi archetipi. Proprio per questo si è sentita l'esigenza di prendere spunto dalla struttura narrativa di Affabulazione ma di mutarne completamente i contenuti; infatti mentre il testo di Pasolini iniziava con un coro tragico rappresentato dalla figura di Sofocle, nella riscrittura di Tutti i padri vogliono far morire i loro figli il coro sarà rappresentato dall'ombra di Pasolini, e l'archetipo che narrerà non saranno le vicende tragiche e mitiche di Edipo, ma il racconto del '68. Proprio i temi del ‘68 costituiscono la cornice entro la quale tutti personaggi agiranno. Le tensioni tra i vari personaggi saranno provocate da una divergente lettura di questi temi che procurerà ferite insanabili soprattutto tra le due figure chiave dello spettacolo: il padre e il figlio.
Siamo in una casa al mare, una casa da buona famiglia borghese, dove vivono un ragazzo con sua madre. L'azione dello spettacolo ha inizio con il ritorno del padre, dopo quindici anni di silenziosa assenza. Un padre che dichiara di essere molto malato, e che prima di morire vuole ricucire il rapporto con suo figlio, che in realtà non ha mai conosciuto. Il padre ci appare come un uomo dal grande vissuto, che ha sempre preferito la libertà alle responsabilità, e che grazie al suo lavoro, fotografo, si è trovato spesso a vivere i momenti più importanti della storia degli ultimi trent’anni. Lui, fiero protagonista del ’68, animato dagli ideali libertari, si troverà a scontrarsi ferocemente con suo figlio, al quale il padre appare come un bambino mai cresciuto che nella vita ha goduto di situazioni estremamente privilegiate e di cui lui, figlio, in qualche modo paga ancora le conseguenze. Nella dialettica tra questi personaggi e nelle istanze che essi rappresentano sta il nucleo di questa tragedia moderna, che ci appare come un infinito affabulare sul doloroso e irrisolto mistero dell'essere figli nell'epoca dell'assenza dei padri.

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