Giuseppe
Berto, grande scrittore italiano, sta vivendo un periodo di riscoperta della
sua opera, colmata quest'anno nel passaggio dall'editore Rizzoli a Neri Pozza
editore, che propone nuovamente Il male oscuro con un'edizione critica e
l'introduzione di Emanuele Trevi. Lunedì 21 novembre alle 18.30 il Piccolo
Eliseo di Via Nazionale in Roma ne propone un dialogo (fino ad esaurimento
posti) con Emanuele Trevi, Paolo
Mauri, Cesare de Michelis e Camilla Baresani (letture di Iaia Forte).
Apparso
per la prima volta nel 1964, Il male oscuro ottenne subito un grande
successo, vincendo nello stesso anno il Premio Viareggio e il Premio Campiello.
L’apprezzamento critico che ne seguì, tuttavia, non colse forse pienamente la
grandezza di quest’opera e della figura di Giuseppe Berto nel panorama della
letteratura italiana del secondo Novecento.
Come sovente accade, questo
romanzo e lo stesso Berto conoscono forse soltanto oggi quella che Benjamin
definiva «l’ora della leggibilità». Comparato con le opere di quell’epoca
caratterizzata da una società in piena espansione, Il male oscuro, come
nota Emanuele Trevi nello scritto che accompagna questa nuova edizione, appare
come «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo,
di un’epoca storica», un capolavoro assoluto dotato di «un’autorevolezza
paradossale, che si basa sulla travolgente energia degli stati d’animo».
Come i grandi libri, il
romanzo presuppone una genealogia. Berto ha ammesso più volte il suo debito con La coscienza di Zeno di
Svevo e La cognizione del dolore di Gadda, dalla quale ricavò il titolo
stesso del suo libro. Il male oscuro, tuttavia, segna una svolta
fondamentale rispetto a queste opere precorritrici: non descrive semplicemente
una nevrosi, ma la mima e la incarna. Il suo linguaggio è la manifestazione
stessa del male, «l’epifania tragicomica della sua oscurità» (Trevi).
Un’assoluta novità artistica e letteraria che Berto non esitò a battezzare
«stile psicoanalitico», una prosa modernissima che, narrando di un male
assolutamente personale, fa scorrere davanti ai nostri occhi «la Roma della
Dolce Vita e di via Veneto, i medici e le loro contrastanti e fallaci diagnosi,
l’industria del cinema con tutte le sue bassezze e le sue assurde viltà, la
famiglia borghese e la sua economia domestica, i cambiamenti del costume
sessuale, i rotocalchi a colori e le villeggiature in montagna», la malattia di
un’epoca apparentemente felice.
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