Portare in teatro la
lingua di tre grandi italiani Ariosto,
Boccaccio, Machiavelli, sfidando la complessità delle
loro opere, per scoprire quanto ancora possiamo nutrirci delle loro invenzioni,
dei loro azzardi, delle loro intuizioni. E per mostrare, con l’arte della
scena, che la bellezza delle loro creazioni è un tesoro inestinguibile, a
doppio filo legato a quell’altra beltà che è il nostro paesaggio italiano e le
nostre opere d’arte. E’ questo l’intento di “Decamerone: vizi, virtù e passioni”,
spettacolo in scena all’Ambra Jovinelli di Roma (Via Guglielmo Pepe 43, biglietti compresa prevendita da 32 a 17
euro) da giovedì 19 febbraio all’1 marzo 2015 per la
regia di Marco Baliani e una Compagnia di attori di prim’ordine, ciascuno dei
quali interpreterà più ruoli: Stefano Accorsi (Panfilo), il Mastro
di Brigata; Salvatore
Arena (Filostrato), il fedele; Silvia Briozzo (Elissa), la generosa; Fonte Fantasia (Pampinea), la giovine; Mariano Nieddu (Dioneo), lo scaltro; Naike Anna Silipo (Fiammetta), l’innamorata.
Sulla scena è
parcheggiato un carro-furgone, “casa” e teatro viaggiante della compagnia che
si appresta a mettere in scena l’opera. La modularità del carro, favorirà la
messa in scena di sette novelle del Decamerone, permettendo di volta in volta
la creazione degli spazi e delle suggestioni necessarie alle storie che si
vanno a narrare. Una grande passione anima la compagnia, ma non altrettanto
grandi sono le loro risorse materiali, si alterneranno quindi in un susseguirsi
di ruoli e vicende, forti della loro arte teatrale.
Spiega il regista Marco
Baliani: “Le storie servono a rendere il
mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta
faticosamente vivendo. Le storie servono ad allontanare, per un poco di tempo,
l’alito della morte. Finché si racconta, e c’è una voce che narra siamo ancora
vivi, lui o lei che racconta e noi che ascoltiamo. Per questo nel Decamerone ci
si sposta da Firenze verso la collina e lì si principia a raccontare. La città
è appestata, servono storie che facciano dimenticare, storie di amori, erotici,
furiosi, storie grottesche, paurose, purché siano storie, e raccontate bene,
perché la morte là fuori si avvicina con denti affilati e agogna la preda. Abbiamo
scelto di raccontare alcune novelle del Decamerone di Boccaccio perché oggi ad
essere appestato è il nostro vivere civile. Percepiamo i miasmi mortiferi, le
corruzioni, gli inquinamenti, le mafie, l’impudicizia e l’impudenza dei
potenti, la menzogna, lo sfruttamento dei più deboli, il malaffare. In questa
progressiva perdita di un civile sentire, ci è sembrato importante far
risuonare la voce del Boccaccio attraverso le nostre voci di teatranti. Per
ricordare che possediamo tesori linguistici pari ai nostri tesori paesaggistici
e naturali, un’altra Italia, che non compare nei bollettini della disfatta
giornaliera con la quale la peste ci avvilisce. Per raccontarci storie che ci
rendano più aperti alla possibilità di altre esistenze, fuori da questo reality
in cui ci ritroviamo a recitare come partecipanti di un globale Grande
Fratello. Perché anche se le storie sembrano buffe, quegli amorazzi triviali,
quelle strafottenti invenzioni che muovono al riso e allo sberleffo, mostrano
poi, sotto sotto, il mistero della vita stessa o quell’amarezza lucida che
risveglia di colpo la coscienza. Potremmo così scoprire che il re è nudo, e che
per liberarci dall’appestamento, dobbiamo partire dalle nostre fragilità e
debolezze, riconoscerle e riderci sopra, magari digrignando i denti”.
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