WRITING

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A cura di ANDREA CURTI

mercoledì 23 gennaio 2019

TEATRO - All'Eliseo di Roma il 29 gennaio prossimo: Shoah, canto recitato da non dimenticare mai.


Ha debuttato in forma di breve lettura in prima europea ad Auschwitz il 20 gennaio 2019 davanti ad una delegazione del Miur e agli studenti di alcuni Istituti scolastici italiani che, come tutti gli anni, visita l’immenso lager dove persero la vita oltre un milione di persone. Approda poi al Teatro Eliseo Shoahmartedì 29 gennaio ore 20 (atto unico 1 ora e 20’, prezzo 15 euro) un monologo, una esecuzione polifonica, un ‘canto recitato’ a più voci scritto da Giuseppe Manfridi e ispirato a Se questo è un uomo di Primo Levi. Manuele Morgese presterà la voce ai diversi personaggi, testimoni e narratori dei terribili e drammatici episodi legati alla Shoah, fondendosi, attraverso le filastrocche di nera luce, alla musica della tromba di Fabrizio Bosso e del pianoforte di Julian Oliver Mazzariello nel disegno registico di Livio Galassi. Il regista ha poi raccontato: “Tutto è stato detto, e tutto resta ancora da dire: esaurite le più atroci parole a descrivere l’orrore del più abominevole crimine che la storia ricordi, non esistono parole per comprenderne il recondito perché. Basta il cupo odio che intatto ha attraversato i secoli fino a noi, fomentato da una religione che si è impossessata del dio di Israele per reinventarlo a suo pro, perseguitando chi non si piegava alle sue manomissioni e voleva conservare integre le proprie antiche credenze, i propri miti, la propria appartenenza, la propria – pericolosa – “diversità”? Forse un fondo di nera frustrazione ha irritato e ingelosito il confronto con un popolo che sempre si è nobilmente rialzato dai reiterati soprusi, aggrappandosi fiero alla sua antica e mai rinnegata cultura. Mi chiedo, e vi chiedo – e lo chiedo soprattutto alla gretta imbecillità degli antisemiti: se togliamo alla storia del mondo - religiosa, etica, sociale, scientifica – gli ebrei Mosheh, ‘Abhrahm, Yehoshua ben Yosef, Marx, Freud, Einstein… che ne sarebbe?... E come spiegare, come giustificare il complice silenzio di tutti? Perlomeno di tutti quelli che sapevano, che intuivano, e che potevano incidere con il loro potere? Con quale inaudita impudenza si può testimoniare l’avvenuta ascesa in cielo di una madre vergine, e non la contemporanea caduta di milioni di innocenti negli abissi della umana abiezione? Anche dalla Tiburtina, da una stazione nella città del Cristo in terra, partivano i treni per lo sterminio senza che nessun anatema li arrestasse. Doloroso e difficile è stato per l’autore immergersi in questo oceano di amarezza. Come uscirne senza scrivere di fatti e di giudizi che poco o nulla aggiungono al già scritto, al già detto, al risaputo? Ma la luce della poesia è stata il faro che ha illuminato l'approdo. Una luce nera è il dolente ossimoro che si riverbera nella struggente scrittura, la quale sfiora appena i fatti e si dilata nello smarrimento esistenziale che da quei fatti scaturisce. Parole che si frantumano ai singhiozzi della mente, si disperdono e si ricongiungono a tracciare la trama di un malessere senza riscatto e senza conforto. Da quella pesante putredine sublimano, esalano leggere pur trattenendo l'atroce ricordo, evanescenti come il fumo che usciva da quei macabri camini e che, testimonianza dell'eccidio, portava lieve con sé le anime delle vittime per liberarle in un cielo senza luce e senza dei. Dolorosa e difficile l'impostazione registica. Può questa immane tragedia essere trattenuta in una struttura estetica? E quale?... Quella con meno estetismi, ho pensato. Quella che non descrive ma suggerisce: una "non scena" che disegna percorsi mentali, che imprigionano o si schiudono alla speranza; una recitazione prosciugata che non cerca compiacimenti né virtuosismi; una musica eletta che non cerca melodie; un tentativo di coinvolgerci tutti in un ineludibile senso di colpa”.

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